GIUSEPPE GIORDANI E IL REAL TEATRO DI FONDO DI NAPOLI
di Alessandro Masulli

Giuseppe Giordani, compositore napoletano, aveva studiato al Conservatorio di Santa Maria di Loreto di Napoli, situato nel borgo marino vicino alla Piazza Mercato di oggi. Qui Giuseppe studiò dal 1761 al 1772, insieme a circa 200 studenti, avendo tra gli altri come compagni di corso Domenico Cimarosa (1749 – 1801) e Niccolò Zingarelli (1752 – 1837). Quest’istituzione, come tante altre sul territorio, era stata fondata nel 1537 da alcuni benefattori napoletani per raccogliere l’infanzia abbandonata e dare loro una educazione finalizzata a un’occupazione come artigiani.

Giuseppe Giordani (1715 – 1798)


All’epoca la maggior parte dei prestigiosi esponenti della scuola napoletana era di origine pugliese: Leonardo Leo, Domenico Sarro, Nicola Fago, Tommaso Traetta, Niccolò Piccinni, Giacomo Insanguine, Giovanni Paisiello e Giacomo Tritto. Giuseppe Giordani, invece, era nato a Napoli nel 1751. Dopo essersi diplomato al Conservatorio, era stato nominato maestro di cappella soprannumerario del Tesoro di San Gennaro nel 1774. Da alcuni documenti si evince, addirittura, che all’inizio della sua attività non gli fu permesso di rappresentare un dramma per musica al Real Teatro di San Carlo e ne tanto meno nei teatri dei cittadini, che abbondavano per la città di Napoli.
La fortuna giunse nel 1781 con il primo contratto con il Teatro del Fondo di Napoli dopo diversi anni di attività nel Centro e Nord Italia. La carriera giordaniana iniziò a Napoli con la commissione di un rifacimento di una vecchia commedia in tre atti di Antonio Palomba, musicata già da Pasquale Anfossi e Pietro Alessandro Guglielmi nel 1763: Lo sposo de tre e marito di nessuno che sarà modificata da Giuseppe Mililotti per la prima opera dell’anno teatrale 1781, e di due nuove composizioni: La Fiera di Brindisi, commedia per musica in tre atti di Giuseppe Palomba per la seconda opera, e Il Convito, una farsa annessa alla seconda opera.

Il Real Teatro del Fondo della Separazione, attuale Teatro Mercadante, fu inaugurato il 17 luglio 1779 con L’Infedeltà fedele, un dramma giocoso di tre atti di Gianbattista Lorenzi e musica di Cimarosa. Dalla prefazione del libretto si capiva subito che questo Teatro si prefiggeva come obiettivo un nuovo genere di opera di mezzo carattere tra buffo e serio, che all’epoca evidentemente era già affermato con le opere del poeta veneziano Carlo Goldoni. Non è un caso che dopo gli anni 60 del Settecento, le commedie goldoniane furono introdotte anche a Napoli con modifiche alla napoletana operate da librettisti partenopei, come Antonio Palomba e Giuseppe Mililotti. Questa nuova moda di fare commedia entrò nel gusto della corte di Re Ferdinando IV, che, per la prima volta, si recò al Teatro Nuovo nel giugno del 1776 per la rappresentazione in prima assoluta de Dal Finto il vero di Paisiello. L’inaugurazione del Teatro del Fondo, trasformato in teatro reale per le commedie, iniziava a riflettere un momento di equilibrio tra le due sfere sociali del tempo, il popolo e la Corte: da una parte la famiglia reale contaminata dalla moda del popolo, mentre dall’altra il mondo cittadino che iniziava ad invadere la cultura della Corte. A Napoli, come nella maggior parte dei teatri cittadini italiani, l’anno teatrale cominciava dalla Pasqua di Resurrezione e finiva nell’ultimo giorno di Carnevale dell’anno successivo. Il compositore, di solito, riceveva una parte del suo compenso prima di mettere l’opera in scena, come caparra. Gli spettacoli in un anno teatrale venivano interpretati, normalmente, dagli stessi cantanti, che formavano un gruppo stabile, come gli strumentisti e gli altri personaggi. I compensi per gli strumentisti nel 1781 erano pagati in rata trimestrale, ossia ogni periodo di spettacolo. Persone che lavoravano dentro e dietro il sipario erano il vestiario, il parrucchiere, il macchinista, il copista, il suggeritore, i sediari, il notaio, gli stampatore, legatore e il ricamatore dei libretti. Tutte queste notizie hanno contribuito alla ricostruzione di come potevano essere allestite alla fine del Settecento le opere del nostro indimenticabile Giuseppe Giordani. Una preziosa collezione di manoscritti d’opera della seconda metà del Settecento, che fu realizzata dalla regina Maria Carolina e oggi conservata presso la biblioteca del Conservatorio di Napoli, consta di 170 titoli e testimonia le scene operistiche durante quello che fu il periodo più grande della storia musicale di Napoli.

Bibliografia
– Charles Burney, The Present State of Music in France and Italy, London T. Becket and Co. in the strand, 1771;
– Claudio Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, 7 vols., Cuneo, Bertola & Locatelli, 1990 – 94;
– Ugo Gironacci, Il periodo Fermano di Giuseppe Giordani detto Giordaniello: 1789 – 1798, in Quaderni dell’Archivio Storico Arcivescovile di Fermo, I, n°1 (1986);
– Benedetto Croce, I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo, Napoli, Pierro, 1891;
– AVincenzo D’Auria, Il teatro del Fondo, vol.3, Napoli Nobilissima, Napoli, 1893;
Tobia Roberto Toscano (a cura di), Il Teatro Mercadante: la storia, il restauro, Napoli, Electa Napoli, 1989.

Fonti
Napoli, Archivio Storico dell’Istituto Banco di Napoli;
Napoli, Archivio di Stato di Napoli;
Napoli, Biblioteca del Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella”;
Napoli, Biblioteca comunale di Napoli “Storia Patria”.

Il VERISMO DI ISPIRAZIONE NATURALISTICA
di Alessandro Masulli

Il mondo della grande opera lirica dalla fine dell’Ottocento agli inizi del Novecento sentì l’esigenza di adattare il nuovo linguaggio musicale a quella degli scrittori veristi. Un primo tentativo della nuova ideologia si era già affermato con la Traviata di Verdi e più tardi con la popolare Carmen di Bizet. I musicisti del tempo iniziarono ad accentuare sui palcoscenici personaggi e vicende reali a discapito della fantasia, che era stata tanto cara al pubblico borghese di buona parte dell’‘800.

Una vera e propria rivoluzione nel mondo del melodramma fu segnata dalla Cavalleria Rusticana, opera musicata da Pietro Mascagni, (Livorno 1863 – Roma 1945) e tratta dall’omonima novella di Giovanni Verga, adattata su un libretto scritto da Giovanni Torgioni Tozzetti e Guido Menasci. Fu rappresentata per la prima volta il 17 maggio del 1890 al teatro Costanzi di Roma e fu un successo enorme. Dopo la prima rappresentazione della Cavalleria Rusticana, il successo si diffuse in forma strepitosa in tutta Italia ed anche all’estero. Da allora innumerevoli sono state e continuano a essere le rappresentazioni dell’opera in Italia e in tutto il mondo e sempre con caloroso successo di pubblico e di critica. Non si può parlare, però, della Cavalleria Rusticana senza esitare sul famoso intermezzo che lo caratterizza. Questa celebre composizione – riferisce Simone Ricci – è quasi completamente basata su un gioco di archi; la possiamo considerare come una specie di preghiera di vaste dimensioni, con l’arpa che accompagna gli stessi archi quasi a confermare il carattere celestiale, senza dimenticare l’organo interno che impreziosisce il tutto. Siamo dunque di fronte a una condensazione drammatica, di espansione lirica, ma soprattutto di grande emozione. È praticamente inevitabile trattenere le lacrime.

Banda musicale Emanuele Filiberto di Savoia 1925

Alla fine dell’Ottocento non c’era città o paese piccolo o grande che non avesse la propria banda musicale, lo stesso Mascagni era direttore del corpo musicale di Cerignola prima che la Cavalleria Rusticana lo lanciasse nell’olimpo della gloria. La musica, roba da ricchi, si ascoltava nei lussuosi palazzi baronali, negli ampi saloni dei castelli nobiliari e nei circoli culturali. Ai poveri paesani quella musica era interdetta. Le opere liriche, trascritte per banda ed eseguite nelle casse armoniche durante le feste patronali, costituirono per molti l’unico modo per accostarsi alla musica e apprezzarne il fascino evocativo. L’ascolto della banda esaltava e commuoveva. Nasceva l’epoca del furore artistico delle bande meridionali, dirette da grandi e appassionati maestri e ovunque si sviluppava una naturale cultura bandistica. Falegnami, bracciali, operai, muratori e calzolai abbandonarono per un attimo il proprio lavoro e iniziarono a solfeggiare e a intonare uno strumento. I musicanti, così denominati, schierati in uniforme iniziarono così a guizzare ai gesti del maestro di turno, le luminarie brillavano sugli ottoni, il popolo iniziava a fare brevi e sommessi commenti sui pezzi eseguiti.

L’esecuzione del popolare intermezzo della Cavalleria Rusticana con la sua trascrizione degli spartiti per banda diventa così un momento d’obbligo da eseguirsi nelle principali feste cittadine. E’ forse, in conclusione, l’unica composizione di Mascagni che incontra sempre il favore del pubblico, ogni qualvolta viene eseguita. E’ un sublime momento di stasi e d’intimo raccoglimento, un alternarsi di sentimenti che arrivano al cuore di chi lo ascolta, un pezzo formidabile intriso di un intenso lirismo.

CERAMICHE DI FEDE
di Alessandro Masulli

Effigie della Madonna della Misericordia (Disegno Raffaele D’Avino)

Giovedì 14 dicembre 2017 Sua Ecc. Mons. Francesco Marino, Vescovo di Nola, ha celebrato nell’Insigne Collegiata una Santa Messa. Al termine è seguita la benedizione della nuova immagine dedicata a Maria SS. della Misericordia in via Giudecca. La nuova composizione è stata ricostruita fedelmente con mattonelle in ceramica della ditta Ceramica Pinto di Vietri sul Mare, grazie al contributo degli abitanti del posto.

Nel centro storico del Casamale, nella antica strada Giudecca, era visibile fino a pochi anni fa, inserita in una edicola murale, e splendente di vivace policromia, una grande composizione di riggiole maiolicate raffigurante Maria SS. della Misericordia. L’opera, purtroppo, fu trafugata da ignote mani sacrileghe.
L’edicola votiva, di dimensione 80 x 100 cm (20 riggiole), era collocata sul portale d’ingresso della proprietà De Falco in via Giudecca al civico 11.

Il prof. Antonio Bove così la presentava in un articolo sulla rivista Summana n° 17 del 1989: Essa si presenta in una suggestiva cornice architettonica, isolata dal corpo di fabbrica, e svetta sul vano d’ingresso ad un giardino (appartenuto un tempo alla famiglia Cucciglio), stagliandosi così sul verde intenso della vegetazione retrostante. Nell’effigie la Vergine è configurata come una signora paludata d’azzurro, che incede in un caratteristico paesaggio campestre (lo si potrebbe definire vesuviano se la montagna raffigurata sullo sfondo venisse, con uno sforzo immaginativo, indicata come monte Somma) fino a somigliare ad una comune persona vivente se non intervenisse, nella parte superiore, una nube teofanica e relative teste di cherubini ad assicurarci della sua divinità. All’altro lato della scena troviamo una figura maschile inginocchiata, un contadino, al quale, come si evince, tocca il grande privilegio della visione della Vergine…

L’edicola, infatti, raffigura la prima apparizione della Madonna della Misericordia, avvenuta sabato 18 marzo del 1536. Antonio Botta, un contadino nativo della valle di San Bernardo, a sei chilometri da Savona, come di consuetudine si recava di buon mattino nella sua piccola vigna per completare la potatura delle viti. Il miracolo racconta che il contadino strada facendo recitava, come suo solito, il Santo Rosario; giunto al piccolo torrente che doveva attraversare pensò di rinfrescarsi in quelle acque, e proprio in quel momento gli apparve la Madonna nel suo massimo splendore, assicurandogli che era Maria Vergine. La sua deposizione ufficiale è conservata nel Santuario costruito su quel posto e incisa su una lastra di marmo fin dal 1596. Seguirono successivamente altre due apparizioni. Nostra Signora della Misericordia è la patrona della città di Savona e viene festeggiata proprio il 18 marzo. Il culto non è mai stato radicato nel territorio di Somma Vesuviana.

Ricordiamo, per ben capire la presenza di questa sacra immagine a Somma, che in vari diplomi angioini si incontrano nomi di famiglie ebraiche abitanti in Somma nel Duecento e Trecento. Addirittura lo storico degli ebrei del Mezzogiorno, Dr. Nicola Ferorelli (Gli Ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, Torino, 1915), esplicitamente afferma che in Somma nel XV secolo vi era una fiorente colonia ebraica: da qui l’antichissimo quartiere Giudecca.
Il periodo aureo dell’intreccio della storia locale con gli ebrei – come riferisce il Dott. Domenico Russo – è dato dal dominio aragonese nel Regno di Napoli. Alla seconda metà del XV secolo, e non prima, risale l’organizzazione della Giudecca, cioè del vero e proprio quartiere ebraico accanto alla cinta fortificata del quartiere Casamale. I De Falco, che portarono a Somma l’edicola tutelare della Madonna della Misericordia, erano certamente ebrei genovesi, forse commercianti d’ oro, venuti in massa a Napoli sotto il dominio aragonese. Molti ebrei diventarono, successivamente, cattolici – come afferma il prof. Mimmo Parisi – dopo la minaccia dell’allontanamento dal Regno e tanti si convertirono nel tempo per continuare le loro attività commerciali.
Non è un caso, e concludo, che ancora oggi la famiglia De Falco porta il soprannome di ‘e ponenti, che ci conferma la provenienza – come afferma l’ing. Arcangelo Rianna – dalla Riviera di Ponente in Liguria dove è situata Savona.

ARRIVA LA BANDA!
di Alessandro Masulli

Era il 1927 quando il Dott. Alberto Angrisani, divenuto Podestà di Somma Vesuviana, con atto deliberativo dell’11 luglio sopprimeva la banda musicale comunale, la scuola di musica e il posto di maestro per diminuire le spese del Comune. Le prime notizie ufficiali di un complesso musicale a Somma risalgono addirittura al 1847: tale Vincenzo Casillo, infatti, istituì un fanfara cittadina con il sostentamento di alcuni privati. La gloriosa tradizione bandistica cittadine vide poi alternarsi nel tempo valenti maestri: Francesco Brunelli, Agostino Montalto, Giuseppe Pellegrino, Giosuè Barone e così via. La nomina a maestro era di competenza del Consiglio Comunale in seguito a concorso per titoli e a norma del parere tecnico espresso da un’apposita commissione designata dallo stesso Consiglio cittadino e presieduta dal Direttore del Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli.

Erano complessi musicali costituiti da non meno di 25 abili suonatori, che allietavano i cittadini Sommesi tutte le domeniche nelle principali piazze della Città e restavano a disposizione nel giorno della Festa del Santo Patrono e Corpus Domini. Dopo la soppressione arrivò, poi, l’epopea artistica di Enrico Cecere e Pasquale Raia: il primo impulsivo e il secondo pacato. Si accaparravano a gara i giovani studenti di musica più promettenti. Le bande ne rispecchiavano i caratteri. I musicanti schierati in grande uniforme guizzavano ai gesti del maestro di turno. Le due bande, Orfani di Guerra e Grande Banda Somma Vesuviana, furono i loro capolavori artistici. A quei lontani anni gloriosi seguirono decenni e decenni di assenza quasi totale di complessi musicali. La sola eccezione fu un breve tentativo fatto sotto la gestione comunale del Sindaco Alfonso Auriemma con il valido maestro Giovanni Auriemma, che dedicò la sua vita a tramandare ai più giovani l’amore per la musica prima attraverso l’insegnamento nella Scuola Media Statale San Giovanni Bosco di Somma Vesuviana e, poi, cercando di ricostituire la banda del suo paese, istituendo corsi musicali per giovani ragazzi.

Più tardi, ancora, toccherà al maestro Antonio Seraponte, una delle figure di grande prestigio del panorama musicale della Provincia di Napoli, a costituire piccole formazioni bandistiche. Seraponte nacque Somma Vesuviana nel 1951, ultimo di sette figli, fu avviato dal padre Mauro, musicante, allo studio dei primi rudimenti della tromba con il maestro Pasquale Raia (1909 – 1965). Fu allievo di Renato Marini, docente di tromba al Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella e prima tromba della Rai di Napoli. La sua morte prematura nel 2011 ci privò di un punto di riferimento essenziale per la nostra cultura musicale, che vedeva nell’istituzione della banda musicale cittadina la sua esplicazione. Ora il sogno del Prof. Antonio Seraponte sta per realizzarsi: in questi giorni, infatti, si sta concludendo il progetto Musica ed Integrazione Sociale, approvato dal CSV Napoli e realizzato dall’Associazione Culturale Musicale Antonio Seraponte con la collaborazione delle Associazioni ADA e Pensiero Libero. Il giorno 16 dicembre, finalmente, i ragazzi che hanno seguito scrupolosamente questi corsi musicali si presenteranno alla Città con una esibizione strumentale nei locali di Relais de Charme Rose Rosse – Località Castello. Sarà la volta buona? Spero di si.

Il Fondo Stato Civile dell’Archivio storico di Somma Vesuviana: storia ed evoluzione di una comunità
di Alessandro Masulli

Frontespizio registro di nascita 1809


Fin dai tempi più antichi le nascite, i matrimoni e le morti dei Sovrani e dei personaggi illustri si annotavano in appositi registri, che venivano custoditi nei rispettivi luoghi sacri. All’inizio del IV secolo d.C. Papa Marcello I istituì a Roma le prime parrocchie nelle quali correva obbligo ai preti titolari di amministrare il battesimo e la penitenza a chi si convertiva al Cristianesimo e di avere cura delle sepolture dei Martiri. Era il periodo delle grandi persecuzioni. Questa consuetudine cominciò a diffondersi lentamente in tutte le città cristiane.
Nei primi tempi il battesimo veniva amministrato direttamente dai Vescovi, successivamente il compito passò ai parroci nelle proprie parrocchie, così allo stesso modo anche per i matrimoni e per le sepolture. E’ da queste prime annotazioni di nascite, di matrimoni e di morti, riportati scrupolosamente da monaci e parroci, che ebbe origine il primo esempio di Stato Civile.

Nel 1560 il viceré di Napoli Don Parafan de Ribera, Duca d’Alcalà, emanò una prammatica che ordinava a tutti gli Arcivescovi del territorio napoletano di obbligare i propri parroci e altri beneficiati, di formare appositi registri dove annotare giorno per giorno tutti i battezzati, maschi e femmine, per avere notizie certe sulla loro età e, inoltre, volle essere informato sulla corretta esecuzione dei suoi ordini.
Il Concilio di Trento (1545 – 1563), nella sessione 24, stabilì l’obbligo dei parroci di tenere distinti i registri per il battesimo e per i matrimoni; nei primi per annotare i nomi dei battezzati, dei loro genitori, del padrino o madrina; nei secondi i nomi dei coniugi, dei rispettivi genitori della coppia, dei testimoni, il giorno e il luogo dove il matrimonio si contraeva.
Le Costituzioni Pontificie successivamente imponevano ai parroci l’obbligo di fornirsi di cinque registri: battesimi, cresime, matrimoni, morti e stato delle anime o liber animarum. Lo Stato Civile proseguì in questo modo nelle città e nel Regno di Napoli fino al 1808 (1).

L’arrivo dei Francesi a Napoli, avvenuto il 14 febbraio 1806, sancì una nuova stagione politica, caratterizzata da un’enorme azione riformatrice, i cui effetti si avvertirono in tutti i campi sociali, a cominciare dalla riforma statale. In tale opera svolse un ruolo fondamentale, il nuovo governo formato dal re Giuseppe Bonaparte, il 22 febbraio 1806, con cinque ministri napoletani e due francesi.
Il Regio Decreto del 29 ottobre 1808 di Gioacchino Murat stabilì, dopo la traduzione del Codice Napoleonico, l’istituzione dello Stato Civile e l’osservazione della legge nei tribunali del Regno. Un secondo decreto, successivo al 29 ottobre, ordinava l’esecuzione e stabiliva i compiti degli ufficiali incaricati alla registrazione degli atti. I parroci continuavano nel loro vecchio compito di annotare nei registri di battesimo, matrimonio e morte, ma col solo scopo di certificare l’amministrazione dei Sacramenti secondo i precetti stabiliti dalla Chiesa; fu loro inibito di poter dare battesimo e benedizione nuziale senza la presentazione del certificato dell’avvenuto atto dello Stato Civile. Per questo divieto a partire dall’anno 1809 e fino al 1815 nei registri del nostro Fondo non si trova fatta menzione del ricevuto battesimo negli atti di nascita, né della benedizione nuziale negli atti di matrimonio, essendo tali azioni esclusive dell’autorità ecclesiastica.

Atto numero 1 del 1809


Con il ritorno dei Borboni nel maggio 1815, fu stabilito che tanto del ricevuto battesimo, che della benedizione nuziale, l’ufficiale dello Stato Civile ne prendesse notamento dietro al certificato, che i parroci erano tenuti a inviare alle rispettive sezioni municipali. Ai consueti registri dei nati, matrimoni e morti si aggiunsero i cosiddetti Atti diversi.
Erano documenti questi che racchiudevano gli atti delle nascite pervenute nelle traversate di mare, gli atti di ricognizioni, gli atti di adozioni, gli atti di morti fuori dal proprio domicilio, gli atti di nati morti, gli atti di legittimazioni, e sentenze di rettifiche. Gli atti dei trovatelli furono inseriti nei normali atti di nascita. Bisogna, inoltre, ricordare che nel territorio vesuviano, come del resto in tutto il territorio campano, agli inizi del XIX secolo non vi era Municipio che non avesse aveva la sua ruota dei proietti. A Somma, per esempio, nel 1814, vi era una ruota municipale gestita da una Commissione di Beneficenza e più tardi, nel 1835, l’Università deliberava forti spese in ducati per il pagamento delle nutrici, che allattavano i bambini abbandonati.

Più tardi, con l’Unità d’Italia, il nuovo Stato si diede una precisa legislazione in materia di Stato Civile con il Regio Decreto del 15 novembre 1865 n° 2602, strumento normativo rimasto vigente per oltre settanta anni. Con questo decreto si stabiliva che nel registro degli atti di nascita, tanto dello sposo che della sposa, bisognava annotare accanto i dati del matrimonio (notazione a margine).
Tutti i registri dovevano essere formati in doppio esemplare: una copia rimaneva al Municipio e l’altra depositata alla Cancelleria del Tribunale Civile e Correzionale.

Il primo gennaio 1940 entrò in vigore il R.D. del 9 luglio 1939 n°1238. Quest’ultimo ordinamento, con successive modificazioni e integrazioni, ha mantenuto la sua validità per circa sessanta anni. Altre normative riguardanti lo Stato Civile sono state in seguito la legge del 15 maggio 1997 n°127 e il D.P.R. del 3 novembre 2000 n°396 Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello Stato Civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n° 127.

Il Fondo Stato Civile dell’Archivio Storico Comunale di Somma Vesuviana contiene tanto le serie delle registrazioni degli atti di Stato Civile propriamente detti (nascita, matrimoni e morte) quanto le serie dei repertori utili alla ricerca (repertori decennali alfabetici, indici annuali) e delle carte di corredo agli atti (pubblicazioni di matrimonio). Contiene, inoltre, la documentazione che si riferisce agli altri compiti dei quali era investito l’ufficio dello Stato civile (pratiche immigrazioni, atti di cittadinanza, registri di popolazione e cosi via).
Il fondo alla fine è costituito da una sezione preunitaria regg. 177 degli anni 1809‐1865 e da una sezione postunitaria regg. 158 degli anni 1866‐1920; la sezione preunitaria comprende lo Stato Civile napoleonico (1809‐1815), lo Stato Civile Borbonico (1816‐1860), lo Stato Civile Carlo Albertino (1861‐1865), quest’ultimo mantenuto con il preunitario per uniformità formale rispetto al successivo Stato civile italiano subentrato nel 1866 (2).

Atti di nascita, regg. 113 (1809 ‐1900);
Atti di matrimonio, regg. 109 (1809 – 1920);
Atti di morte, regg. 113 (1809 – 1920);
Atti diversi, regg. 47 (1813 – 1864);
Indici atti di nascita, regg. 4 (1876 – 1954);
Indici atti di morte, regg. 12 (1866 – 1905);
Indici atti di matrimonio, regg. 10 (1866 – 1895);
Pubblicazioni di matrimonio, regg. 33 (1836 ‐1920);
Documenti vari, regg. 25.

Da questi registri si può formare una esatta statistica della città di Somma dal mese di gennaio del 1809 al 31 dicembre 1900.
Dal 1809 al 1900:
Nati: 28.462 (nessun registro mancante);
Matrimoni: 5.001 (1850 – 1870 – 1900 registri mancanti);
Morti: 7.668 (1840 – 1854 – 1866 – 1885 registri mancanti, ma l’effettivo numero è stato recuperato dai registri delle sepolture del Cimitero cittadino).

La presente statistica, inoltre, evidenzia che nell’anno 1868 la città di Somma ha sofferto una mortalità di 298 persone, molto superiore a quella degli anni colerici 1836 con 164 morti, 1855 con 275 morti, 1865 con 216 morti. Nell’anno dell’Unità d’Italia (1861) ci furono 218 morti. I matrimoni più numerosi, invece, si ebbero nel 1889 e nel 1819 con 96 celebrazioni. L’anno di nascita, infine, più proficuo fu il 1887 con 368 nascite.
Il primo registro degli atti di nascita – come riferisce la Peluso – ha insito e conserva un notevole valore; è il primo anelito, emblema di una genesi, è il palpito di un paese, che… riconosce i suoi nati. Ogni pagina di questi registri, esaminati con accuratezza sono nel loro intimo depositari di una grande quantità di dati certamente fattivi, di cui avvalersi per raccontare di un’epoca, della presenza di tante esistenze che congiuntamente hanno dato vita ad un paese.

Questa che segue è la prima registrazione di vita che segna la nascita dello Stato Civile di Somma Vesuviana:

NUM. 1
Oggi che sono li quattro del mese di gennaio del presente anno mille ottocento nove ad ore venti è comparso avanti del Signor Sindaco di questa Università il signor Luca Esposito alias Alaja di professione bracciale d’anni trenta. Domiciliante in detta Università, ed abitante nella strada d(etta) S.Croce numero (civico mancante). Il medesimo ha presentato una bambina che ha dichiarato esser nata in costanza di legittimo matrimonio tra esso dichiarante con la Sig(nor)a Margherita Molaro. La quale (bambina) è nata il giorno due del mese di gennaio, ad ore due della notte, ed a tenore della dichiarazione se li sono imposti i seguenti nomi: Angela Rosa.
Ed essendosene dal sud(d)etto Signor Luca Esposito fatta e sottoscritta la formale dichiarazione in (aggiunta a penna con segno di croce) presenza del Signor Sindaco, e di due testimoni, che sono i signori Antonio Maurella di anni sessanta professione bracciale, domiciliante nel Comune di Somma strada d(etta)Santa Croce, e Lorenzo Auriemma di anni cinquantaquattro, professione bracciale, domiciliante nel suddetto Comune, e strada (manca il nome) che originalmente da me si conserva nel volume delle cautele del presente registro. E per esecuzione della Legge se ne fatta la inscrizione nel presente libro.
Gaetano Giova eletto.
Emanuele Casillo canc(elliere)

Note
1. cfr. Archivio di Stato di Napoli, Stato Civile delle Dodici Sezioni della Città di Napoli e i suoi villaggi dall’anno 1809 – 1865, Prefazione di Camillo Minieri Riccio, Napoli, Officina Tip. Rinaldi – Sellitto, 1879;
2. cfr. Masulli A., Auriemma A.R. (a cura di), Città di Somma Vesuviana, Il Fondo Stato Civile – Inventario, pubblicazione online sul sito istituzionale del Comune di Somma Vesuviana, Maggio 2010.

Bibliografia
Peluso L., Sperone Comune dal 1837 al 1976, San Giuseppe Vesuviano, Editrice L’Arca, 2003.

GAETANO ANGRISANI: IL CALZOLAIO POETA
di Alessandro Masulli

Gaetano Angrisani

Gaetano Angrisani nacque a Somma Vesuviana nel quartiere Margherita il 26 febbraio 1900. Figlio di Luigi, calzolaio, e di Gaetana D’Avino una donna di casa, impara presto il mestiere del padre che esercitò per tutta la vita nella sua bottega al Casamale.
Non potendo permettersi di sacrificare ore di lavoro per andare a scuola, fermò i suoi studi alla terza elementare; ma il suo amore per lo studio, la lettura e la scrittura lo porteranno, come autodidatta, a perfezionarsi nel tempo. La poesia diventò la sua passione irrefrenabile. Nel 1924 sposò la napoletana Clara Testanera, che nel 1934 morirà nel dare alla luce Nunziata, dopo che erano già nati Luigi, Ciro e Giorgio. Si risposa nel 1935 con Rosa Granato, da cui nacquero Clara, Francesco, Giuseppina e Immacolata. La produzione poetica di Angrisani era conosciuta solo a pochi appassionati, ma nel 1996, per volere della famiglia, fu pubblicata una sua raccolta di poesie in vernacolo e in lingua in un libro intitolato Canti della mia Terra.
La poesia di Angrisani rappresenta una fotografia della sua Città nei primi anni del Novecento. Le sue liriche dimostrano una spiccata versatilità ed un naturale talento nel cantare scene di vita familiare, campestre, locale e sociale. Egli esprimeva tutti i sentimenti del suo ambiente e della sua gente attraverso versi genuini, sinceri e spontanei. Gaetano morirà il 16 aprile 1964 a Somma Vesuviana.

Donizetti & Cottrau: amicizia, musica e passione per il Somma Vesuvio
di Alessandro Masulli

Gaetano Donizetti (1797 – 1848), il maestro bergamasco, visse a Napoli dal 1822 al 1838 e qui ha espresso il meglio della sua vena artistica, producendo opere che gli hanno garantito un’ intramontabile fama internazionale. La sua produzione musicale, vasta ed eterogenea, annovera non solo opere buffe e melodrammi, ma anche raccolte di canzoni napoletane, che il maestro non disdegnava affatto di comporre.
Guglielmo Cottrau (1797 – 1847), invece, francese di origine si trasferì a Napoli nel 1806, dal momento ché il padre, Giuseppe, era un alto funzionario al seguito di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat durante il decennio francese. Il parigino di Mergellina si appassionò, peraltro, alla musica di tradizione orale in ambito cittadino, trascrivendo e/o rielaborando canzonette associate a melodie popolari, pubblicandole tra il 1824 e il 1847 nei sei fascicoli dei Passatempi musicali e, poi, in diversi Supplementi.

Donizetti e Cottrau erano praticamente nati tutti e due nel 1797: Cottrau morì nel 1847 e Donizetti, l’anno successivo, nel 1848. Coetanei, quindi, furono portati dalle vicende della vita a Napoli: una città molto diversa delle loro rispettive città d’ origine, ma una città che entrambi amarono profondamente. Entrambi erano uniti non solo dal comune interesse professionale per la musica, ma da una profonda amicizia, come è testimoniato dall’ampia corrispondenza disponibile. Si frequentavano assiduamente, soprattutto nella villa napoletana dell’editore francese all’Infrascata (attuale via Salvator Rosa) sulla collina del Vomero, ed entrambi avevano legami saldi con il territorio vesuviano, dove si recavano per trascorrere giornate di svago soprattutto nelle stagioni più calde, secondo una consuetudine molto diffusa tra le famiglie aristocratiche di quel periodo, che animavano con la loro frizzante e dinamica socialità la provincia vesuviana. L’attività di Guglielmo Cottrau si svolse, prevalentemente, nell’ambito dell’editoria musicale: un settore che nella prima metà dell’800 – afferma il dott. Mario Di Sapio – visse un considerevole momento parallelamente al fenomeno dei salotti, che animavano la vita sociale dell’aristocrazia e dell’alta borghesia. Cottrau fu prima direttore e, poi, socio dello Stabilimento musicale Bernard Girard & C., che nel 1847 arrivò ad essere il più importante gruppo editoriale d’Italia e d’Europa. Oltretutto, l’editore francese è attualmente considerato l’inventore di quel genere musicale della canzone napoletana per voce e pianoforte

Donizetti, oltretutto, frequentò in particolar modo Pollena Trocchia, perché amico del giornalista – drammaturgo Pier Angelo Fiorentino (1811 – 1864) e dei Marchesi Cavalcanti, e perché attratto dalla figura del potente ministro Nicola Santangelo (1785 – 1851). Cottrau, invece, frequentava solitamente Somma – luogo di villeggiatura per eccellenza, ma anche di ricerca musicale – come ci viene attestato in una lettera del 15 luglio del 1837(?) che il compositore francese inviò ai signori B. Girard & C. a Napoli.

A Somma, Cottrau dovette ascoltare e trascrivere il motivo popolare di quella che poi sarebbe diventata la Canzone di Somma, sottraendola sicuramente dalla tradizione orale del posto. Quest’antica canzoncina, in re maggiore dal tempo composto ternario in 6/8 e dall’andamento allegro moderato – edita nel 1825 dalla Reale Litografia Militare (RLM) nel fascicolo 5 dei Passatempi musicali, Anno primo d’associazione (fasc.1-6), Ottobre 1824/Ottobre 1825 – fu riproposta successivamente in numerose edizioni musicali fino all’ ultima pubblicazione nell’Eco di Napoli con le 150 Celebri Canzoni Popolari Napolitane per canto e pianoforte colla traduzione italiana raccolte dal maestro Vincenzo De Meglio in tre volumi, prima edizione del 1878, pubblicata da Ricordi.

E’ da rilevare – afferma il maestro Roberto De Simone – che nei Passatempi delle prime edizioni Guglielmo Cottrau non figura mai come trascrittore o arrangiatore; solo successivamente, nelle tarde ripubblicazioni, il nome di Guglielmo Cottrau fu apposto alle precedenti stampe dal figlio Teodoro, che gli attribuì persino un ruolo di compositore, per ovvi motivi di proprietà editoriale.
Le opere di Cottrau, comunque, sia originali sia tratte da melodie popolari acquistarono rapidamente grande risonanza non soltanto in Italia, ma divennero popolari anche a Parigi, Londra, Vienna e Madrid, come afferma il musicologo Daniele Giorgi.

Due giganti della musica, comunque, a cui la canzone napoletana deve molto, tanto che anche la cultura popolare – conclude Mario Di Sapio – ha voluto suggellare questo legame perpetuando una diatriba sull’attribuzione della melodia di Io ti voglio bene assai, che viene considerata ufficialmente la prima vera prima canzone napoletana, suggello del binomio Piedigrotta/Canzone napoletana: chi avrà scritto quelle note, Gaetano Donizetti o Guglielmo Cottreau?”